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In montagna, ad un passo dal cielo (ma in un rifugio sostenibile)

William Blake una volta disse: “Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono”. La maestosità e la complessità della montagna, in effetti, ha da sempre attratto gli uomini che l’hanno usata talvolta come rifugio, talvolta come roccaforte, o ancora come ispirazione. Con i suoi infiniti volti scheggiati dai secoli e dalle intemperie la relazione tra la montagna e l’uomo è come un valzer tra meraviglia e terrore: perché si sa, la vetta non perdona…ma se vuole regalarti qualcosa, lo fa in grande. Ripagarla, quindi, con un maggiore rispetto dell’ambiente è l’idea che, dal 1992, il progetto europeo LIFE sta portando avanti. E, in particolare per il territorio montano, circa due anni fa è nato il progetto LIFE SustainHuts, pensato per incentivare l’uso di fonti di energia rinnovabile e implementare la sostenibilità ambientale dei rifugi alpini.

Un’iniziativa che ha coinvolto attivamente otto rifugi in tre Paesi: SpagnaSlovenia e Italia. A sostenere il progetto, oltre ai fondi europei, anche i partner che, in Italia, sono la sezione torinese del CAI (Club Alpino Italiano) e l’Environmental Park di Torino. E a parlarci di questo piano per la “salvaguardia della montagna” è stato proprio Federico Cartasegna che, per l’EnviPark, sta seguendo gli sviluppi tecnici del progetto.

Ci parli di questo bando LIFE SustainHuts. In cosa consiste?

“È un progetto finanziato dal bando europeo LIFE – azioni per il clima e ha come obiettivo la validazione, tramite sperimentazioni sul campo, di soluzioni innovative nell’ambito della gestione dei rifugi di montagna che consentano di ridurre l’impatto ambientale, soprattutto in termini di riduzione dell’emissione di anidride carbonica.”

L’iniziativa ha un respiro europeo, ma in Italia chi partecipa?

Foto di Dorian Baumann

“Per quanto riguarda l’Italia i partner siamo noi e il CAI Torino, che è proprietario del Rifugio Torino (l’unica struttura italiana che partecipa al progetto). In particolare noi di EnviPark ci occupiamo di seguire, dal punto di vista tecnico, le implementazioni e i monitoraggi delle prestazioni per verificare l’effettiva efficacia delle soluzioni adottate nel rifugio e poi svolgiamo anche un monitoraggio delle performance a livello di impatto ambientale. Per quanto riguarda il Rifugio Torino, che si trova a 3.375 metri di altitudine, si tratta di una struttura sulle pendici del Monte Bianco ed è collegato dalla funivia SkyWay. Questo implica un flusso turistico importante e le problematiche erano legate soprattutto al consumo di acqua.”

Come siete intervenuti per risolvere le criticità e rendere il rifugio Torino un vero “Sustainable Hut”?

Il progetto adesso è circa alla metà del suo svolgimento e non in tutti i Paesi sono state applicate le soluzioni. In Italia, invece, siamo già a buon punto perché gli interventi sono già stati fatti. Abbiamo fatto valutazioni preliminari degli impatti che questi interventi avrebbero avuto e, in effetti, i risultati sono stati rilevanti. Le operazioni sul Rifugio Torino sono state fatte prevalentemente per quanto riguarda il recupero delle acque, perché essendo ad alta quota non c’è la disponibilità dell’acqua di falda. Quindi durante l’estate si sono installati deipunti di prelievo sul ghiacciaio. Tuttavia, siccome il rifugio è aperto tutto l’anno e ci sono stagioni in cui non si può prelevare l’acqua dai ghiacci (banalmente anche per i servizi igienici), si è montato un sistema di recupero delle acque reflue: le acque nere vengono recuperate, trattate in un depuratore e in sistema di filtraggio nuovo; dopodichè vengono immagazzinate in serbatoi per essere poi pompate e riutilizzate sempre in ambito sanitario. Sui tetti, invece, è stato installato un sistema di recupero delle acque dalla neve che si scioglie. Ora stiamo valutando se inserire delle resistenze elettriche nelle grondaie per riuscire a sciogliere la neve anche d’inverno e usare l’acqua per la cucina del rifugio, ovviamente dopo essere stata filtrata e trattata con antibatterici e luci ultraviolette.

Questi interventi valgono il risparmio di alcune tonnellate di anidride carbonica all’anno perché, prima, quest’acqua doveva essere trasportata dalla funivia o dall’elicottero, mentre adesso, di fatto, il rifugio è pressoché autonomo dal punto di vista idrico.

Il progetto è nato come sperimentazione per essere poi esteso ad altri rifugi europei. Secondo voi è davvero fattibile?

Certo, la nostra ambizione è quella di estendere la sperimentazione. Per esempio con il CAI di Torino abbiamo già iniziato a ragionare alivello regionale su quali rifugi potrebbero beneficiare di alcuni degli output dei risultati del progetto.

Foto di Jonas Verstuyft

Anche a livello europeo è assolutamente fattibile, tant’è che i rifugi coinvolti nel progetto sono diversi e collocati su Alpi e Pirenei e sono caratterizzati da condizioni di quota e accessibilità differenti. Molte strutture sono staccate dalla rete elettrica e vengono alimentate da serbatoi di gasolio trasportati con elicottero; anche in questi casi ci sono diversi aspetti su cui si potrebbe intervenire per ridurre i viaggi ed eliminare i generatori diesel che hanno un impatto sia dal punto di vista di rilascio di anidride carbonica che di inquinamento locale. Si stanno quindi creando dei sistemi basati su fonti rinnovabili che hanno caratteristiche dedicate a quel tipo di rifugio: per esempio, per i rifugi aperti solo durante la stagione estiva, è bene che i pannelli siano rimovibili durante l’inverno perché possono danneggiarsi con neve e venti. Abbiamo quindi situazioni diverse, quote diverse, collegamento alla rete oppure no, situazioni in cui il rifugio è accessibile con strade carrabili o no. Ovviamente tutto deve essere ridimensionato a seconda dei fabbisogni della struttura.

Però, se da una parte si sta cercando di rendere ecosostenibili i rifugi di montagna, dall’altra parte molti turisti ed escursionisti non rispettano l’ambiente che li circonda. Secondo lei questo progetto potrebbe aiutare ad educare le persone in termini di rispetto per la montagna?

Sì, assolutamente. Nell’ambito di “SustainHuts” infatti andremo a fare anche delle attività di comunicazione riguardo agli interventi realizzati. Inoltre ci sono già installati nei rifugi dei pannelli informativi. In programma poi ci sono workshop e conferenze in cui si parlerà della sostenibilità della montagna. Per questo stiamo lavorando anche con l’ufficio comunicazione del CAI Torino per progettare delle campagne dedicate al pubblico più ampio proprio per educare anche il comportamento dei fruitori.

Giorgia Preti

 

http://www.logtogreen.it/in-montagna-ad-un-passo-dal-cielo-ma-in-un-rifugio-sostenibile/ç

 

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